Expert debate open challenges in CAD treatment

Sessione molto interessante su argomenti ancora dibattuti, articolata in tre parti in cui si sono alternati i due expert in una disputa “senza esclusione di colpi”. Nella prima controversia si è discusso di angina ricorrente in CAD non ostruttiva. La prima relazione di G. Niccoli ha focalizzato l’attenzione sull’importanza della terapia medica per il trattamento di questi pazienti, anche se i dati della letteratura non sono incoraggianti. Per questo è importante identificare i meccanismi che sottendono l’angina per poi targhettizzare la strategia terapeutica. Si possono, quindi, riconoscere, a parere del relatore, tre setting: angina dovuta a vasospasmo, angina microvascolare e pazienti senza alcun meccanismo riconoscibile. Fodamentale è il compito dell’emodinamista che, una vota eseguita la coronarografia, dovrebbe effettuare un test all’acetilcolina per identificare i vasospastici e una valutazione con guide di pressione per identificare le malattie del microcircolo. Una volta riconosciuta la causa si può somministrare la terapia più adeguata (ace-I, nitroderivati o Ranolazina) con risposte migliori rispetto ai dati della letteratura. L’autore ha fatto riferimento allo studio Cormica, condotto su pazienti con angina in coronaropatia critica e non critica con l’obiettivo di valutare se un test di funzionalità coronarica può influenzare la diagnosi e il trattamento di tali pazienti migliorando gli outcame. Una nuova arma a nostra disposizione sarà il Fasudil (inibitore delle RHO-chinasi) che permette ai vasi sanguigni di vasodilatarsi e aumentare il flusso ematico al miocardio.

Il secondo relatore, Giannini, ha illustrato un interessante studio condotto dal suo gruppo che ha impiantato il sistema Reducer (uso off label) in 8 pz con angina refrattaria a coronarie sane, poi rivalutati a 4 e 12 mesi dalla dimissione. Al primo follw-up tutti i pazienti hanno avuto un notevole miglioramento della sintomatologia, mentre al controllo dei 12 mesi in 2 pazienti vi è stata una ripresa dell’angor (probabile effetto placebo), mentre vi è stato un miglioramento al six min walking test e una riduzione dell’area ischemia alla RMN in tutti i casi. Nelle conclusioni l’autore afferma quindi che il Reducer potrebbe essere un’alternativa per il trattamento di questa patologia. L’argomento della seconda controversia ha cercato di dipanare i dubbi sull’uso del DEB nelle restenosi intrastent. S. Galli ha sostenuto l’uso del DEB per vari motivi: si i evita di apporre ancora metallo con una minore distorsione dell’anatomia del vaso, si eluisce più omogeneamente il farmaco antiproliferativo, è necessario un periodo inferiore di duplice DAPT. La controparte, G.G. Secco, ha efficacemente ridimensionato l’uso del DEB riservandolo solo a pochi casi (circa il 20% del totale delle restenosi) dovuti a pura iperplasia intimale che dovrebbe essere riconosciuta con imaging intracoronarico e manifestarsi entro un anno dall’impianto dello stent. Per far penetrare il farmaco del DEB bisogna rompere la lamina elastica esterna, quindi sarebbe mandatorio l’uso di cutting balloon o scoring balloon. Anche sulla durata della dapt non vi sono ormai differenze con l’impianto di DES di ultima generazione ed infine la tecnica stent in stent non appone poi molto metallo visto che le struts degli stent di ultima generazione sono circa 1/3 del vecchio Cypher.

La terza ed ultima controversia riguardava le dissezioni coronariche: argomento particolarmente delicato da affrontare. Le dott.sse E. Piccaluga e B. Castiglioni hanno parteggiato rispettivamente per una strategia conservativa la prima e interventistica la seconda. Alla fine dell’acceso dibattito abbiamo portato a casa degli importanti insegnamenti: grazie ai position paper (europeo ed americano) illustrati puntualmente dalla Piccaluga abbiamo capito che è opportuno adottare una strategia interventistica solo in caso di dissezione con ridotto flusso coronarico, lesione prossimale o ongoing ischemia; negli altri casi la strategia conservativa ha degli outcame migliori. Fondamentale è il monitoraggio clinico di questi pazienti, soprattutto donne giovani nel periodo perimenopausale, nei primi 10 g dall’evento acuto per la elevate incidenza di MACE (aritmie ventricolari gravi e recidive di dissezioni).

Di Fabio dell’Avvocata