Evidence-Practice Mismatch in Drug Therapy

di Marco Borghesi

Dall’inizio del millennio la cardiologia interventistica si è concentrata sull’innovazione tecnologica e l’utilizzo di device per il trattamento delle diverse cardiopatie. Tuttavia, anche nel nostro ambito rimane imprescindibile la conoscenza di tutto quel che concerne la gestione del paziente prima, durante e dopo l’intervento: la terapia medica. In questa interessante sessione sono stati affrontanti quattro snodi critici nella gestione della terapia medica del paziente con coronaropatia: la terapia ipolipemizzante aggressiva, la DAPT prolungata, il confronto tra DAT e TAT nel paziente con FA non valvolare e l’utilizzo di antiaggreganti per via endovenosa.

Nel primo topic è stata ricordata l’importanza di una riduzione marcata dei livelli di LDL circolanti vista la correlazione lineare con gli eventi ischemici. Messaggio chiaramente recepito dalle ultime linee guida ESC che incoraggiano l’utilizzo degli inibitori PCSK9 già in fase ospedaliera nei pazienti ad alto rischio. Meno recettiva è stata l’AIFA che, pur avendo allargato la prescrivibilità, ha indicato un target (> 100 mg/dl) superiore a quello attualmente previsto nei pazienti ischemici ad alto rischio (< 55 mg/dl). Altro interessante argomento ha riguardato la possibilità di iniziare una terapia aggressiva nei pazienti multivasali con lesioni intermedie (FFR negative) dal momento che il dato funzionale non correla sempre con la composizione della placca.

Nel secondo topic si è parlato di DAPT a lungo termine, discutendo la necessità di una terapia “tailored”, dopo esaustiva valutazione del rischio ischemico ed emorragico del singolo paziente. Nel terzo topic si sono affrontati sul ring TAT vs DAT nel paziente rivascolarizzato con FA non valvolare: per le attuali linee guida ESC, la DAT con DOAc dopo una sola settimana di TAT è diventata la “default strategy”. Si è discusso come la sospensione di ASA sia il momento cruciale di questa strategia, dal momento che tutti gli studi segnalano una tendenza, nelle fasi precoci, ad aumento delle trombosi di stent, il che rende necessario un attento bilanciamento tra rischio ischemico ed emorragico, non sempre agevole per la difficoltà ad utilizzare gli score nella pratica clinica e per la sovrapposizione dei due tipi di rischio.

L’ultimo topic era incentrato sull’utilizzo degli antiaggreganti per via endovenosa, in particolare di cangrelor, che è stato introdotto nelle linee guida ESC con “tiepido entusiasmo” (Classe IIb Livello A) ma che appare la strategia più promettente proprio alla luce delle ultime raccomandazioni, che prevedono il secondo antiaggregante downstream nelle SCA-NSTEMI. Tale concetto è stato rimarcato dal dott. Angiolillo che ha riferito di utilizzare il cangrelor come antiaggregante di scelta anche nei pazienti con CAD stabile in caso di PCI complessa o multivasale. Lo stesso Angiolillo ha concluso proponendo un interessante protocollo di gestione terapeutica dei pazienti Covid-19 + da sottoporre a PCI in corso di NSTEMI/ STEMI: ricordando che si tratta di un disordine pro-trombotico e che un terzo dei pazienti sono resistenti all’eparina, utilizza nella sua pratica clinica il prasugrel associato a GPI.