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Expert dabate, still room for PCI? New perspectives for old coronary obstructions.

Le occlusioni coronariche croniche totali (CTO) rappresentano una sfida reale e attuale per la maggior parte degli cardiologi interventisti. Se eseguite da operatori esperti sono associate all’85-90% di successo con circa il 3% di rischio di complicanze maggiori. Il GISE expert dabate riguardate le ostruzioni coronariche croniche ha concesso ai partecipanti di apprezzare gli ultimi updates, a distanza di poche settimane dal riuscitissimo GISE EuroCTO di Firenze.

di Miriam Compagnone

Recensione

Mercoledì 6 ottobre si è potuto assistere ad un interessante dibattito sul trattamento delle occlusioni coronariche croniche totali. La sessione, da subito gremita di partecipanti, è stata moderata da Mauro Cirillo e Alessio La Manna. Il dibattito si è aperto prima di tutto con la controversia riguardante le valutazioni preliminari della disostruzione di una coronaria chiusa ormai cronicamente.  Primo ad intervenire è stato Jacopo Oreglia, sottolineando il ruolo cruciale di una attenta valutazione clinica e strumentale, che possa documentare la presenza di ischemia miocardica in casi di frazione di eiezione conservata o di vitalità in caso di alterazioni segmentarie della cinetica ventricolare. In risalto l’utilizzo della risonanza magnetica cardiaca, per valutare il burden ischemico, fattore determinante per stabilire la probabilità di miglioramento funzionale procedura-relato. Successivamente, dalla presentazione di Rocco Aldo Giunta è emerso quanto la manifestazione clinica sia spesso eterogena ed atipica, specie in caso di diabete mellito. Le indicazioni attuali ad eseguire una procedura di disostruzione coronarica in caso di angina refrattaria, dispnea persistente o di ischemia nel territorio del vaso occluso sono fondate su studi ormai datati, che poco riflettono il polso della situazione attuale. Negli ultimi anni si è assistito a un aumento logaritmico del successo procedurale, reso possibile dalla ripida learning curve degli operatori, dallo sviluppo di tecniche sempre più sofisticate e dall’utilizzo di materiali sempre più performanti di ultima generazione. Il tema del secondo dibattito ha riguardato la scelta del best first approach alla disostruzione: antegrade vs retrograde. Questo argomento ha visto in contrapposizione Andrea Gagnor e Gabriele Gasparini. Come noto, l’approccio anterogrado resta il più comunemente utilizzato in prima battuta, con un tasso di successo che ormai raggiunge il 90%. L’approccio retrogrado, tuttavia irrinunciabile in alcuni casi, è da preferirsi in casi già di per se complessi: ambiguità del cap prossimale, calcifico, vaso distale di difficile identificazione e, ovviamente, in presenza di vasi collaterali utilizzabili. A conclusione di questa sessione, si è discusso riguardo le tecniche più utilizzate per intraprendere un approccio anterogrado. Salvatore Colangelo ha mostrato in modo chiaro e sistematico le diverse fasi della “wire escalation”, mentre Pietro Mazzarotto ha efficacemente sintetizzato le metodiche per riconquistare efficacemente il vero lume distale, dopo passaggio subintimale.  In sintesi durante questa sessione si è sottolineato quanto sia sempre più importante il planning preprocedurale nel paziente con CTO e quanto fondamentale sia la capacità dell’operatore di cambiare strategia in base alle diverse difficoltà che via via si presentano. Il giusto approccio ad una procedura di CTO deve essere altamente “flessibile” in modo da evitare “fasi di stallo”.