Guidata dal Dott. Sergio Berti e dall’Ing. Simona Celi, durante la sessione sono state espresse le potenzialità che nascono quando avviciniamo due mondi apparentemente diversi, quello clinico e quello ingegneristico.
Il percorso è stato strutturato in quattro tappe. Si è iniziato con la TAVI in pazienti complessi. Qui la tecnologia offre strumenti decisivi: raccolta di dataset completi, segmentazione delle immagini, stampa 3D e simulazioni che aiutano il cardiologo a prevedere criticità e scegliere la strategia più sicura.
Lo sguardo si è poi spostato sulle coronarie, un caso di infarto miocardico acuto ha sollevato una domanda cruciale: possiamo leggere nell’angiografia informazioni che ancora ci sfuggono? Modelli matematici e indici innovativi del flusso sanguigno potrebbero rivelare stress sulla parete vascolare e sull’endotelio, offrendo nuove chiavi di interpretazione della malattia coronarica e previsione della sua evoluzione.
La sessione si è spostata sulla chiusura percutanea dell’auricola sinistra, analizzando dati su leak e trombosi dei device in uso. Anche qui, la bioingegneria propone soluzioni: simulazioni digitali e valutazioni anatomiche avanzate per migliorare la procedura e ridurne i rischi.
Il messaggio conclusivo è chiaro: solo integrando competenze diverse, cardiologi e ingegneri possono costruire strumenti più precisi e procedure più sicure. Perché il futuro dell’interventistica passa anche dalla capacità di collaborare e condividere lo stesso linguaggio.