torna all'elenco delle news

Transcatheter Aortic Valve reinterventions: strategies and coronary challenges

La gestione delle protesi valvolari aortiche biologiche degenerate e il ri-accesso coronarico dopo la TAVI rappresentano, ad oggi, realtà quotidiane per il cardiologo interventista.

di Miriam Compagnone

Nella seconda giornata congressuale si è potuto assistere ad una interessantissima sessione, condotta magistralmente da Francesco Bedogni e da Marco Barbanti, in presenza di un pannel di esperti di alto livello. Nel primo set della sessione si è affrontato il tema del trattamento delle protesi valvolari chirurgiche degenerate, un argomento sempre più attuale in considerazione del significativo aumento del numero di impianti di bioprotesi in ambito chirurgico. Questa crescita sembra essere legata, da un lato, alla volontà dei pazienti di evitare la terapia anticoagualante e, dall’altro, alla possibilità di trattare in modo efficace le bioprotesi degenerate tramite TAVI. I risultati di ampi registri dimostrano che la TAVI nelle valve-in-valve rispetto alle TAVI sulle valvole native, non comporta un aumento degli eventi avversi, sebbene si associ a dei gradienti medi più elevati. È fondamentale conoscere il tipo di protesi da trattare e a cosa si va in contro. Dalla discussione è emerso che il reintervento chirurgico resta un’opzione concreta nei pazienti con rischio chirurgico basso o con valvole chirurgiche di piccole dimensioni, qualora non sia possibile eseguire un cracking della protesi. Tra gli aspetti da considerare vi sono l’età del paziente e la previsione di un eventuale terzo re-intervento, campo che resta ad oggi sconosciuto. È stato inoltre dibattuto quali tipologie di valvole utilizzare, se limitarsi a quelle approvate o considerare anche nuovi dispositivi, e quale tipo di impianto eseguire: ad esempio, impianti più alti si associano a gradienti post-procedurali inferiori. Resta ancora aperto il dibattito su quale sia il gradiente medio accettabile post-procedura per decidere se procedere o meno al cracking della bioprotesi.

Nel secondo set si è discusso della necessita di garantire un accesso coronarico post-TAVI, considerando la correlazione esistente tra coronaropatia e valvulopatia aortica. Secondo diverse casistiche, circa il 30-80% dei pazienti sottoposti a TAVI presenta una malattia coronarica associata. Si tratta inoltre di una condizione patologica progressiva, che rappresenta un’importante sfida nei pazienti più giovani con un’aspettativa di vita più lunga. I dati della letteratura indicano che i principali predittori della possibilità di ri-accesso coronarico post-TAVI sono il tipo di valvola impiantata, l’altezza dell’impianto e la relazione che c’è tra le dimensioni del device ed i seni di valsalva. Ad oggi, tra le tecniche fondamentali per garantire il ri-accesso c’è l’allignamento commissurale, che tuttavia va sempre ponderato alle caratteristiche cliniche ed anatomiche del paziente. In particolare, bisogna tener conto dell’età e della coronaropatia pre-esistente. Infine, si è discusso sul timing di trattamento della coronaropatia rispetto ai tempi dell’intervento della TAVI.

In conclusione, da questa interessante sessione è emerso che l’obiettivo principale del cardiologo interventista deve essere quello di fornire un trattamento di TAVI “sartoriale” per il paziente, frutto di una attenta valutazione clinica e di una corretta pianificazione procedurale.